L'Azienda Agricola Madorbo-Filippo nasce dall’intuizione di Filippo Menegaldo di “non violentare la natura attorno” cercando di preservare quella biodiversità che negli anni si era venuta a creare in questa particolare terra di mezzo.
Il nome Madorbo deriva appunto dalla sua collocazione geografica, un luogo (Medium Urbis), più o meno, equidistante dall’agro Trevigiano e dall’agro Opitergino. Questo almeno è quanto ho colto dalla magnifica presentazione storica di Simone Menegaldo che ci ha fatto attraversare i secoli con le sue parole, facendoci capire che queste terre, non troppo conosciute ai più, conservano tracce importanti della storia degli ultimi duemila anni, in primis le ultime tracce della strada romana Postumia.
Per capirci siamo verso Cimadolmo, in provincia di Treviso, nelle campagne a poche centinaia di metri da La Piave, femminile, come qui chiamano questo fiume caro alla patria. Un luogo che ha conosciuto immensa povertà, spopolamenti e rinascite negli ultimi cento anni. Sembra l’altro ieri. La differenza è che qui la memoria è salda, è un valore che va preservato, è un monito che va compreso.
Le radici sono mantenute salde e vive grazie a Sergio Menegaldo e alla sua famiglia. Sergio è il padre di Filippo e Simone. Quattro anni fa è venuto a mancare Filippo e oggi il sogno di questa azienda non smette di generare, parlare, (ri)portare quei valori e valorizzare una biodiversità ricca di unicità. Il tutto con una semplicità figlia di una condivisione sincera ed estranea da tornaconti. Non ci sono infrastrutture particolari o abbellimenti turistici ma tutto il necessario per stare bene. Una magnifica pergola di uve Bacò, una fontana con acqua del pozzo, vini e formaggi, l’accoglienza pura.
In particolare, i vini sono protagonisti. Non perché si tratti di etichette sfarzose o vini dalla complessità eclatante. Qui il progetto è un altro. Preservare alcune varietà “proibite” da una legge fascista degli anni Trenta che proibiva la vendita di vini ibridati con viti americane e, a seguire, anche da una legge europea che vieta l’utilizzo di viti selvatiche come il Clinton. Dunque varietà mantenute per consumo personale ma, anche, per riuscire a farle conoscere a curiosi che giungono in quest’oasi. Varietà arrivate sino a qui grazie al padre di Sergio, uno degli ultimi corrieri a cavallo che giravano in lungo e in largo, appassionato del mondo e raccoglitore di alcune di queste piante.
E dunque
Baco Noir, ottenuto dall’insegnante francese Francois Baco nel 1902 dopo aver tentato di migliorare il Noah, in seguito alla comparsa del “Marciume Nero” tra i viticoltori di Armagnac nel 1896.
Villard Blanc, nato dagli esperimenti di Bertille Seyve e Victor Villard e introdotto per la vendita attorno al 1928. Probabilmente coltivato in Italia solo a Madorbo.
E poi Clintò e Clinton, simili ma diversi. Nella visione di Sergio, il Clintò è da bere mentre il Clinton è da mangiare. Sintesi estrema ma provarli porta a capire il perché di queste parole
Ci sarebbero da citare anche gli aceti di cachi e di more di gelso e qualche altra prelibatezza che qui trova forma ma ciò che rimane sono soprattutto la voglia di una condivisione senza distanze e la volontà di tramandare una conoscenza che va perdendosi. In poche parole, cura e memoria. Le uniche basi solide per l’avvenire.
Non ultimo, tra i presenti, Miracol Gigi, altra memoria storica della viticoltura, appassionato raccontastorie e strenuo oppositore dei vini standardizzati che ha concluso la serata tra poesie e giochi con il fuoco.